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Oltre alla metformina, cosa scegliere?

Un lungo e importante studio ha dimostrato come alcuni farmaci ipoglicemizzanti sono più efficaci di altri.

Scritto da Redazione

openaccessmedicine

Un buon controllo della glicemia è fondamentale nella gestione del paziente con diabete mellito di tipo 2, permettendo di prevenire o ritardare l’insorgenza e la progressione delle complicanze diabetiche. Generalmente il controllo glicemico avviene attraverso la misurazione dell’emoglobina glicata (HBA1C). Le linee guide pongono come obiettivo glicemico negli adulti in terapia in genere una HBA1C <7%.

Il numero di farmaci ipoglicemizzanti è aumentato notevolemente dal 1995 in cui gli unici farmaci disponibili erano le sulfoniluree. Oggi disponiamo di undici classi di farmaci ipoglicemizzanti (biguanidi, tiazolidinedioni, meglitinidi, DPP-4 inibitori ecc ecc). Inizialmente in monoterapia la metformina è ancora il trattamento farmacologico preferito a meno che controindicato o non tollerato, considerando le solide evidenze di efficacia e sicurezza, il poco costo e gli effetti cardioprotettivi. Quando è necessario però introdurre altri ipoglicemizzanti, vista la disponibilità di cosi tante opzioni, diventa una vera sfida per i medici scegliere il trattamento più adatto al paziente.
In genere si considerano la loro efficacia, i potenziali effetti collaterali, gli effetti sull’aumento di peso, possibile ipoglicemia, cardioprotezione e costo.

In questo studio durato quasi 5 anni si è confrontato l’efficacia di quattro farmaci ipoglicemizzanti comunemente usati dividendo i partecipanti in quattro gruppi (glargine, glimepiride, liraglutide, sitagliptin).

Al termine dello studio i livelli di emoglobina glicata differivano significativamente tra i quattro gruppi: tutti e quattro i farmaci, quando aggiunti alla metformina, hanno ridotto i livelli di emoglobina glicata, tuttavia glargine e liraglutide erano significativamente più efficaci nel raggiungere e mantenere i livelli target di emoglobina glicata. Un grosso limite dello studio però è il non tener conto dei SGLT2 inibitori. Questi, infatti, non erano sul mercato statunitense nel 2013, quando è iniziata la sperimentazione.

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