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Abbiamo curato l’anemia falciforme?

Da tempo conosciuta, l’anemia falciforme rappresenta una grande opportunità per lo sviluppo di terapie genetiche

Scritto da Redazione

openaccessmedicine

Illustrazione tratta da Vectorarte / Freepik

Da tempo conosciuta, l’anemia falciforme rappresenta una grande opportunità per lo sviluppo di terapie genetiche

L’anemia falciforme è una malattia genetica caratterizzata dalla produzione di emoglobine patologiche (fa parte delle emoglobinopatie). L’emoglobina patologica tende a precipitare e a conferire all’eritrocita la tipica forma a falce da cui la patologia prende il nome.

I progressi nell’assistenza medica sono riuscite ad aumentare la sopravvivenza delle persone colpite, i farmaci recentemente introdotti inoltre permettono una gestione più efficace del dolore e degli altri sintomi. In questo momento però il trapianto di cellule staminali ematopoietiche rimane l’unico trattamento curativo ed’è generalmente limitato ai pazienti con complicanze avanzate della malattia.

La ricerca e lo sviluppo dei trattamenti per l’anemia falciforme ha sofferto nel tempo di una forte mancanza di investimenti, secondo molti legata a motivi razziali. L’anemia falciforme infatti è una patologia che ha una distribuzione specifica e che colpisce principilamente la popolazione nera. Per esempio la fibrosi cistica colpisce un terzo di americani in meno rispetto all’anemia falciforme ma ha ricevuto quasi dieci volte i suoi finanziamenti.

In ogni caso gli interventi per l’anemia falciforme sono principalmente volti al prevenire complicanze e migliorarne i sintomi.

In età pediatrica, per esempio, è opportuno eseguire le vaccinazioni necessarie e iniziare una terapia di profilassi antibiotica (penicillina), in questo modo si prevengono infezioni alle quali questi pazienti sono esposti.

L’idrossiurea può ridurre o prevenire diverse complicanze dell’anemia falciforme. Questa non è costosa ma deve essere assunta per tutta la vita.

Crizanlizumab e voxelotor invece sono stati recentemente approvati. Crizanlizumab, approvato nel gennaio di quest’anno, è in grado di prevenire le crisi vaso-occlusive. Voxelotor, approvato un mese dopo, invece è in grado di aumentare i livelli di emoglobina e diminuire gli indicatori di emolisi. Questi però hanno un costo non trascurabile (in Italia Adakveo ha un prezzo di 1.980€ a confezione, negli Stati Uniti arriva a costare quasi 100.000$ l’anno per paziente). Questo li rende senza dubbio inaccessibili ai pazienti con anemia falciforme in Africa.

Le terapie geniche, dall’altro lato, hanno subito per quasi due decenni un notevole rallentamento dovuto alle grosse difficoltà riscontrate nelle loro implementazioni cliniche.
I recenti progressi tecnologici stanno però ora fornendo ai ricercatori gli strumenti necessari per affrontare questa malattia alle sua base (per alcuni siamo entrati in un vero e proprio rinascimento della terapia genetica)

Uno di questi progressi è rappresentanto dal sistema CRISPR/Cas9. Questo, infatti, grazie al suo prezzo relativamente basso, alla facilità d’uso e sopratutto alla sua precisione sta rapidamente soppiantando le precedenti tecnologie.

Da notare però che anche CRISPR viene trasportato tramite vettori virali ed è quindi associato ad alcune complicanze già note.

La terapia genica rappresenta sicuramente l’approccio terapeutico più ambito. Le attuali strategie di terapia genica per l’anemia falciforme utilizzano due approcci distinti:

  1. Ripristinare l’espressione del gene della β-globina funzionale
  2. Ripristinare l’espressione della γ-globina.

La γ-globina viene normalmente prodotta solo durante lo sviluppo fetale. Nei mesi successivi alla nascita, il gene che produce questa proteina è permanentemente disattivato nella maggior parte delle persone.

L’ematologa Marina Cavazzana in collaborazione con la bluebird bio ha messo in atto un efficace terapia genica attraverso Lentiglobin, un lentivirus contentente una copia funzionale della β-globina (HbAT87Q). I risultati sono stati pubblicati questo febbraio sul NEJM.

La Vertex Pharmaceuticals ha intrapreso invece la seconda strada usando CRISPR-Cas9 per inibire il gene BCL11A. Nel trial sono stati inclusi pazienti con β-talassemia e con anemia falciforme. I risultati sono stati presentati al Congresso della Società Europea di Ematologia (EHA): i pazienti a un anno di distanza presentavano un aumento
dell’emoglobina fetale e un eccezionale miglioramente della condizione clinica.

Un altro trial clinico pubblicato sul NEJM nel gennaio del 2021 puntava a silenziare il gene BLC11A attraverso un vettore lentivirale contente un shRNA (quindi un meccanismo di RNA interference). Il trial clinico ha coinvolto 6 persone e si è rivelato anche questo un grande successo.

Helen Obando, una ragazza di 18 anni che ha partecipato al trial, è diventata la prima adolescente americana con anemia falciforme a essere dichiarata guarita dalla malattia.

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